L'Aquila, today




Durante delle poche pause che abbiamo avuto a Sassa subito dopo l’ora del pranzo con Nino siamo entrati nel centro storico di L’Aquila. Per entrambi è stato un evento molto toccante. Nino ha un figlio che il 6 aprile alloggiava in un collegio situato in pieno centro storico e che scappando dal sisma ha lasciato tutto nella sua stanza, siamo quindi andati a cercare di recuperare le sue cose.



Entrare a piedi dal varco situato dinnanzi alla Fontana Luminosa significa varcare una soglia che ti porta in una nuova dimensione. Non ci sono passanti né automobili al di fuori dei vigili del fuoco e dei loro mezzi. Il silenzio è assoluto, si rimane talmente tramortiti dalla situazione che nessuno osa aprire bocca, non parlavano nemmeno i tre vigili che ci hanno scortato. La devastazione è totale, una situazione talmente estrema da risultare difficile una descrizione. La sensazione è che tutto ciò che è rimasto in qualche modo in piedi è talmente lesionato da richiedere l’abbattimento e la ricostruzione da zero. I vigili puntellano e verificano solo la pericolosità degli edifici affinché i mezzi possano transitare quantomeno sulle arterie viarie principali. Onestamente non so come si possa demolire un intero centro storico per ricostruirlo, ma così da profano questa mi è sembrata l’unica soluzione possibile.



Arriviamo in Via Camponeschi dove c’è la meta del nostro pellegrinaggio, il collegio dei gesuiti. Troviamo la porta storta, la chiave che ci hanno consegnato per entrare non apre perchè l’intelaiatura è stata forzata con un piede di porco, il corpo del reato è stato addirittura lasciato sul posto. I vigili non si perdono d’animo e decidono di entrare con una scala da una finestra aperta al primo piano. Una volta entrati tornano all’entrata principale e aprono usando il maniglione antipanico. Nino li segue fino alla stanza del figlio situata al terzo piano. Io rimango ad aspettare fuori, le crepe nell’androne del collegio sono impressionanti, meglio non rischiare. Faccio qualche foto e mi guardo attorno. Rimango particolarmente colpito da una lunga tettoia di cemento rimasta in bilico ad un’altezza di 20 metri dopo che si sono sbriciolati i pilastri che la tenevano sospesa su un balcone.



I vicoli adiacenti sono intasati di macerie, si tratta soprattutto di muri perimetrali crollati ma anche di pezzi di cornicioni, soglie di finestre di travertino cadute e spaccate. Tornando indietro i miei occhi notano altri particolari, il cartello di un chiosco di fiori cita beffardamente “Lunedì aperto”, pensare che la scossa si è verificata proprio all’alba di un lunedì. Impressionante lo spigolo del palazzo della provincia che si affaccia su Corso Vittorio Emanuele, ha una crepa talmente larga da chiedersi come faccia a rimanere in piedi così. Enormi cinghie bianche lo tengono imbrigliato al resto della struttura.


Tornati fuori nel mondo reale, alla piazza della Fontana Luminosa. Nino ed io ci guardiamo un attimo in faccia, non diciamo una parola, ognuno cerca lo sguardo dell’altro per convincersi di non essersi immaginato tutto.



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